Il diario segreto di Walter Massa (1978-2010)
/Roma, 7 ottobre 2016. La pioggia battente non facilita le cose, ma come si suol dire “presentazione bagnata, presentazione fortunata”. Scendo dal taxi e mi rifugio all’interno de Il Sorì, un piccolo antro nel cuore del quartiere San Lorenzo pieno zeppo di bottiglie e di sogni. All’interno c’è Paky, un uomo schivo, appassionato e rigorosissimo che ha disegnato uno spazio intorno a sé e lo ha reso emanazione del suo spirito e, al tempo stesso, un guscio protettivo contro le brutture del mondo. Uno di quei luoghi in cui, una volta entrati, ci si sente al sicuro, come se nulla potesse più farci del male. Per qualche strano motivo qualche mese fa ha deciso di credere ne “La Barbera è femmina!” ed è diventato il mio sponsor. Trovo strano avere uno sponsor (non si chiamavano mecenati quando si occupavano di cultura?), ma il mio è speciale: ha un’anima da surfista e, come me, ama il vino. Mentre mi bacia sulle guance, mi fa gli auguri e poi mi tende un bicchiere di champagne. Sì, perché oggi è anche il mio compleanno, e non potevo farmi regalo migliore.
Poco più in là, seduto su uno sgabello, se ne sta Gae, intento a scrivere appunti sull’ultima pagina bianca del mio libro. Solleva lo sguardo e sorride. Bello che abbia accettato il mio invito. Se non fosse per lui, probabilmente io non sarei qui stasera: è lui che ha messo il mio manoscritto nelle mani dell’editore. La cosa speciale di Gae è che si è assunto il ruolo di Aiutante Magico, come nelle fiabe, e senza nemmeno conoscermi: solo qualche messaggio, e una fiducia commovente, totalmente estranea a questi tempi cinici e malsani. Quando si dice: vivere una vita in modo artistico. E questa è la dimensione che condivido con lui.
Poco dopo mi raggiunge Luca, l’editore. Un vero eroe in questi tempi bui, vista la desolazione in cui versa il mondo dell’editoria. Pratico come si conviene a un editore, spiccio, asciutto. Niente sentimentalismi con lui, come se non ci fosse un domani. Nonostante tutto, si dice contento di avermi incontrata, e già si informa della nuova creatura che lentamente sta prendendo vita sulla carta. A ognuno il suo mestiere.
Manca solo lui, Walter. Mi avvio verso la porta con un senso di inquietudine: Walter è imprevedibile, ma alla fine, lo so, nonostante la vena di follia che lo attraversa, riesce sempre a chiudere il cerchio e a far quadrare le cose. E infatti, un attimo dopo, compare sulla porta con un’aria soddisfatta. Allora, andiamo a ragionar sulla Barbera? sembra pensare, mentre osserva il pubblico già in visibilio, appollaiato sugli sgabelli.
Cala il silenzio. Si alza il sipario. E noi ci siamo tutti: il Mecenate, l’Aiutante magico, l’Editore, l’Autrice e il Vignaiolo, protagonista assoluto e, al tempo stesso, co-autore del capitolo centrale “Alla ricerca delle Barbere e(re)tiche”. Mancano solo le altre femmine di questa storia: la Barbera e Patrizia, la mia editor, purtroppo impossibilitata a raggiungermi qui a Roma.
Mentre Paky mette rimedio all’assenza della Barbera, versando nei bicchieri dei partecipanti all’evento sette annate di Monleale, mi rendo conto della straordinaria (e irripetibile) congiuntura astrale: questa sera, e per questa sera soltanto, sono presenti accanto a me i principali personaggi della storia (quella del libro, non quella nel libro), come sagacemente fa notare Gae durante la sua introduzione (“se questa fosse una detective story, qui mancherebbe solo l'assassino”). Assieme a loro avrò l’occasione non solo di confrontarmi su un vitigno sottovalutato, spesso ignorato e ancor più spesso tradito, che mi ha tenuta avvinta a sé in un abbraccio quasi mortale, ma anche di assaggiare annate di cui ho solo sentito parlare.
Quella che mi si para davanti è una verticale di sette annate di Monleale, dal 1978 al 2010. Ovvero: un viaggio emozionante, a ritroso nel tempo, nella vita di Walter Massa.
Annata 1978: il primo vino di Walter. Il vino della sua giovinezza irrequieta che abbandona rombi di motore e velocità per legarsi indissolubilmente alla terra - alla sua terra - entrando con tutta l’energia di cui è capace in un vigneto (anch’esso giovane), che ai tempi ha poco più di dieci anni. Strabordante il vigneto, esuberante il giovane Walter, appena ventitreenne: l’uno produce tanta uva (120 quintali ettaro) quanto l’altro produce testosterone, ed entrambi hanno stoffa da vendere. Grazie a un’ottima annata, il giovane Walter raccoglie uva matura e sovrabbondante, che poi si trasforma in un vino con 14,2% di alcol e 7,6 grammi litro di acidità. Un vino che oggi – a trentotto anni di distanza – stupisce per la freschezza ancora intatta, complice quella spiccata acidità e una provvidenziale sostituzione dei tappi nel 1996 che gli ha regalato quella che oggi a me sembra un’eterna giovinezza. Al naso è un concentrato di pepe, visciola e liquirizia che emerge delicatamente sullo sfondo man mano che il tempo scorre nel bicchiere. Nel cuore è una foto istantanea per nulla sbiadita. Uno sguardo rubato, un mezzo sorriso, i capelli scompligliati dal vento.
Annata 1990: vent’anni più tardi, tanta consapevolezza e uno stile inconfondibile. Un vino grande, avvolgente, coinvolgente. Mi accosto al bicchiere, ne prendo un sorso, me lo rigiro nella bocca, e intanto penso che assomigli tremendamente alla Bigolla e che non vorrei bere altro nella vita. E infatti, come Walter rivela un istante più tardi, a quei tempi il Monleale era fatto con l’uva proveniente da quella vigna. È la prima volta che assaggio questa annata, ma trovo che abbia un timbro inconfondibile. Un vino figlio del diradamento questa volta. Non più una fanciulla dalla pelle di pesca, ma una donna matura, dalle morbide curve e le vesti sontuose o, come direbbe Walter, un sottile equilibrio tra morbidezza e ricchezza faticosamente raggiunto attraverso un difficile patteggiamento tra cuore e cervello.
Annata 2004: il vino della maturità in un’annata perfetta. Un vino che conosco bene, e a cui mi sono abbandonata più volte. Un vino che ha preso una strada diversa dalla deriva geniale della Bigolla, ma che conserva una vena di follia pur nella sua essenza incredibilmente pop, ed è fuori controllo, come solo a cinquant’anni ci si può permettere di essere, forti dell'esperienza accumulata sulle spalle. Proprio quell'esperienza si apre sopra di lui come un paracadute e gli permette di planare con grazia laddove a vent’anni sarebbe precipitato nel vuoto.
Dal primo all’ultimo sono tutti vini gastronomici, vini che sono grandi anche da soli, ma che con il cibo si aprono e ci aprono verso l'esterno. Sono vini aperitivi nel senso più bello e profondo del termine: vini della condivisione che stimolano pensieri sul mondo e invitano al viaggio.
Mentre ascolto Walter raccontare i suoi vini, nonostante tutti gli anni di frequentazione, a un tratto mi rendo conto di quanto in realtà siano i suoi vini a raccontare lui, e che lo fanno in modo così intimo che è difficile credere che siano così apertamente sotto gli occhi (o nelle gole) di tutti. Le sue bottiglie sono come le pagine di un diario segreto di cui non conoscevo l’esistenza, pagine sfuggite alla mia appassionata ricerca (e quindi al mio libro) ora miracolosamente rinvenute sul fondo di un cassetto. Difficile pronunciare la parola fine e interrompere un viaggio, commenta Gae in modo del tutto inconsapevole, come se potesse sentire i miei pensieri. Ha ragione. Ma la cosa veramente difficile non è interrompere un viaggio: è portarlo a termine. Per quanto ci si sforzi, per quanto si cammini, la sua sorgente è inesauribile e non la si raggiunge mai.
Il viaggio della Barbera continua.
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Sulla serata leggi anche i racconti di Gae Saccoccio e di Donato Notarachille.