Assolo 2006 - La Ribolla di Gravner

Se la forza del Trebbiano di Valentini (vedi "Olive, vento e mare del nord", post del 3 maggio 2016) è quella di parlarci contemporaneamente di zone inesplorate che giacciono sepolte dentro di noi e di un mondo arcaico ormai scomparso, la Ribolla di Gravner si spinge ben oltre.

Non si limita a farci scorrere davanti agli occhi la storia dell’umanità, dai Presocratici a oggi, ma ci racconta una storia molto più antica a partire dalla creazione: magma ribollente e vulcani in eruzione, oceani pieni di vita e terre emerse, cianobatteri, nuvole e ossigeno, erba, piante e alberi, l’approdo sulla terraferma dei piccoli animali acquatici nostri antenati, una terra abitata da dinosauri, la loro scomparsa, la nostra apparizione. In breve, la storia del nostro pianeta.

Una visione molto più ampia e profonda.

Masai Mara, agosto 2016

Masai Mara, agosto 2016

Per questo motivo ha davvero poco senso che io vi dica che una certa bottiglia di Ribolla 2006 (aperta in terra africana nell'agosto di dieci anni più tardi) ha sentori nitidi di pesca e albicocca che si ispessiscono nella dolcezza del dattero, bilanciata in bocca dalla nota pungente del pepe, da un lato, e dall’estremo rigore quasi tannico, dall’altro.

Quando apro una Ribolla di Gravner, ciò che avverto davvero è il peso della storia, a partire dagli idrocarburi dei primordi, modulati dall’azione dell’uomo nei millenni fino alla creazione dell’opera d’arte come espressione culturale specifica della nostra specie.

È un vino evocativo già a partire dal colore che ricorda quello di certi legni antichi, con la loro patina impregnata di Tempo. Poi, quando lo metti in bocca, richiama alla mente una sequenza di immagini. Una terra primordiale abitata da enormi dinosauri, e poi dai loro scheletri. La memoria ancestrale di un tempo mitico in cui i vulcani smisero di eruttare e gli esseri umani impararono a vivere nella natura, dapprima seguendo le vie dei canti come nomadi cacciatori e raccoglitori, poi diventando stanziali attraverso la faticosa domesticazione di piante e animali. La successiva domesticazione reciproca di vite e uomo, che nei secoli ha portato entrambi a fondersi l’uno nell’altra in un’unica entità (quella che i francesi chiamano terroir).

Skeleton Coast, Namibia 2009. (Ph. credits Mauro Mozzarelli)

Skeleton Coast, Namibia 2009. (Ph. credits Mauro Mozzarelli)

In ultimo, il lento e inconsapevole cammino dell’uomo attraverso l’interpretazione estetica della realtà, dalle pitture rupestri alle statuette votive della dea madre, fino all’atmosfera sospesa che aleggia in certe chiese malmesse e misteriose, come San Gregorio Armeno a Napoli.

Capite bene che parlare di sentori non ha proprio senso, perché quella che la Ribolla disegna dentro di me è una linea del tempo tridimensionale. È una storia del pianeta impressa su una pellicola sensoriale. È una resina molle che nella notte dei tempi ha imprigionato la Storia al suo interno, prima di solidificarsi in forma di bottiglia, consegnandola a me millenni più tardi perfettamente visibile all’interno di un’ambra trasparente.

Spesso sento dire che è un vino difficile da bere, ma in realtà lo è solo se si pretende di misurarlo, ingabbiandolo all’interno di una casella bidimensionale. Certo, se conosci Josko Gravner, tutto diventa più semplice, perché la sua Ribolla non si limita a somigliargli (come sempre accade tra produttore e vino quando gli ingredienti si riducono a uva, tempo, amore e solfiti): è proprio essenza di Gravner in bottiglia. È rigore della natura disciolto in alcol, senza per questo essere austero.

Ciò che rende la Ribolla davvero speciale ai miei occhi, cuore e palato, è che un vino immediatamente fruibile a chiunque abbia voglia di mettersi in ascolto. Non pretende da noi l’abbandono, l’atto di fede. Solo l’ascolto, vigile e aperto. E chi si mette in ascolto percepisce subito che la Ribolla è uno Stargate: una passaporta che si apre su mondi paralleli, trasportandoti indietro nel tempo, molto prima che l'uomo facesse la sua comparsa su questo pianeta.

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