The White Whale: inconscio, mistero e vino bianco
/Quando si parla di un grande vino, è opinione condivisa dalla maggior parte dei produttori (compresi quelli che producono vini bianchi) che si stia parlando di vino rosso. C’è addirittura chi ritiene, in modo un po’ provocatorio, che solo il vino rosso sia veramente vino.
Come lo so? Semplice, gliel’ho chiesto. “Che vini ti piacciono?” e “Hai un vino del cuore?” sono due domande che non mancano mai nelle mie interviste. È importante sapere qual è il punto di riferimento estetico ed emotivo di un produttore.
Forse vi sorprenderà sapere che le risposte sono pressoché unanimi: Baroli (Nebbiolo) e Borgogna (Pinot noir) in testa, e poi Brunelli di Montalcino e qualche Chianti Classico (Sangiovese), nerelli dell’Etna e Taurasi campani (Aglianico) in Italia, Syrah della Valle del Rodano, Bordeaux (Cabernet Sauvignon) e Rioja (Tempranillo) in Europa.
E i bianchi? Possibile che nel loro cuore non alberghi neppure un vino bianco? A questa domanda tutti si illuminano, gridando entusiasticamente: Champagne! Poi c’è chi aggiunge Riesling renano o della Mosella (vini per veri intenditori), chi invece volge lo sguardo ispirato ai vari Chenin Blanc, Sauvignon e Chardonnay d’Oltralpe. A quel punto, di solito, sgrano gli occhi. E i grandi vini bianchi italiani? Qualcuno ammette che sì, ce ne sono tre o quattro al massimo, ma che comunque i migliori francesi sono di gran lunga migliori dei migliori italiani…
Sarà dunque vero che i grandi vini sono solo rossi, e che non esiste un solo vino bianco italiano capace di procurare un brivido e suscitare un’emozione?
Dinanzi a un fronte così compatto e unanime avrei potuto anche piegarmi se poi, scavando più a fondo, non avessi scoperto nel corso del tempo che quasi tutti i produttori di grandi vini rossi custodiscono un sogno nel cassetto: produrre un grande vino bianco. Possibilmente un grande vino bianco che ancora non esiste.
Il dubbio è quindi lecito. E il desiderio di indagare la questione d’obbligo.
A differenza dei produttori intervistati, qualche punto di riferimento estetico ed emotivo nel panorama dei vini bianchi italiani io ce l’avrei, come pure qualche vino bianco del cuore. Per raccontarveli ho creato questa rubrica, che ho voluto chiamare The White Whale. Perché? Che c'entrano i vini bianchi con la balena bianca di Melville?
A parte il colore, intendo. Adesso ve lo spiego.
A differenza di un grande vino rosso che dialoga con l’uomo attraverso la sua tridimensionalità (dolcezza alcolica, acidità e astringenza tannica) e, per quanto possa essere complesso, lo raggiunge sempre nei sensi con tutta la sua carnalità, la natura di un grande vino bianco (e, di conseguenza, del vitigno di cui è espressione) è a mio giudizio alquanto misteriosa e sfuggente.
Una natura liquida, cangiante, inafferrabile. Una cifra che dialoga maggiormente con la terra e con gli astri, e che ci parla di miti e di primordi, e di forze inarrestabili del visibile e dell'invisibile, scatenate dalla sua natura maestosa e possente. Un po’ come Moby Dick, appunto.
Buona lettura.