Che cos'è il Nizza. Intervista a Gianluca Morino
/Oggi, 1 luglio 2016, escono sul mercato le prime bottiglie di Nizza, una nuova denominazione che per la prima volta cancella dall'etichetta il nome del vitigno Barbera per esaltare un territorio. Ma di che cosa si tratta esattamente? Per saperne di più, lo scorso 25 giugno ho intervistato Gianluca Morino, titolare dell’Azienda Cascina Garitina, nonché ex presidente dell’Associazione Produttori del Nizza.
Come nasce il Nizza?
Il Nizza nasce, da un lato, dalle considerazioni di produttori del calibro di Michele Chiarlo, di enologi come Giuliano Noè e Prete (enologo della Cantina di Nizza) e di personaggi come Tullio Mussa[1], cioè di persone esperte che già si trovavano sul mercato, e che quindi già sapevano che sui mercati internazionali mancava qualcosa per far conoscere la Barbera d’Asti. Dall’altro, nasce dai sogni di un gruppo di ragazzi che già dall'età dei 17-18 anni, erano decisi a lavorare assieme nel loro territorio, che allora frequentavano la Scuola Enologica di Alba e che nel 1995 avrebbero fondato l'associazione Le vigne del Nizza, a seguito della benevola influenza vissuta ad Alba per merito dei Barolo Boys. Io ero uno di loro.
Come si sono incontrate due anime così diverse?
Allora la Barbera d’Asti non era così ben definita come lo è oggi. Eravamo tutti consapevoli del fatto che servisse una denominazione più piccola, che producesse un vino di maggiore qualità rispetto alle Barbera esistenti e fungesse da traino. L’incontro tra i produttori già affermati e noi, alla fine degli anni Novanta, portò alla richiesta della sottozona, che poi si è concretizzata con la vendemmia 2000, e alla nascita dell’Associazione Produttori del Nizza il 19 novembre 2002. È lì che tutte le realtà esistenti, piccoli produttori come me e presidenti di aziende storiche, come Michele Chiarlo, Coppo e Bersano, hanno iniziato a confrontarsi sulla Barbera. Delle tre sottozone che potevano fare da traino a tutto il comparto Barbera – Nizza, Tinella (Castagnole Lanze e Costigliole) e Colli Astiani, con Rocchetta Tanaro – il primo vino a partire è stato proprio il Nizza perché, a differenza degli altri due, lì c’erano persone che ci credevano davvero. Siamo stati agevolati dal fatto che quasi tutte le aziende del Nizza facevano già un vino come il Nizza.
Su quali basi avete scritto il disciplinare?
Si è preso spunto dai protocolli delle Barbera che esistevano già, che poi erano le nostre Barbera di punta: esposizione dei vigneti a sud, sudest e sudovest, rese più basse per ettaro, affinamento minimo di 6 mesi in legno, permanenza minima di 18 mesi in cantina.
Quanto tempo c’è voluto per far collimare tutte le idee e prendere decisioni comuni?
Alcuni anni, perché le differenze generazionali su certi aspetti erano più marcate e si sentivano eccome. Se da una parte c’erano dei piccoli produttori, che erano enologi ma non conoscevano il mercato, dall’altra c'erano produttori affermati con fatturati esteri solidi, che conoscevano bene il mercato, soprattutto quello degli Stati Uniti. Nonostante le inevitabili differenze, siamo riusciti a lavorare tutti nella stessa direzione proprio grazie all'esperienza maturata in seno all'Associazione Produttori del Nizza. Senza la nostra associazione, difficilmente saremmo arrivati qui.
Com’è nata l’idea di togliere la parola Barbera?
Nel 2006 conclusi il mio primo discorso da Presidente dell'Associazione Produttori del Nizza dicendo che in futuro avremmo dovuto lavorare insieme per realizzare un obiettivo comune. Visto che nessuno ne sapeva niente, ovviamente mi chiesero quale fosse questo obiettivo ed io risposi: quello di chiamarci Nizza! Nella mia testa Barbera d’Asti Superiore Nizza era un nome troppo lungo da memorizzare, a differenza di Nizza, che era corto ed era semplicemente il nome del territorio che comprende 18 comuni ed è mappato allo stesso modo da almeno cinquant’anni. Infatti, quando la Barbera veniva venduto ancora sfusa, quella di Nizza era già conosciuta con questo nome e identificava un vino di maggiore struttura e carattere. Ricordo che quella dichiarazione diede il via a una grossa discussione, perché in quel momento erano in molti a pensare che non potevamo rinunciare al nome della Barbera in etichetta, perché quello sì era riconoscibile, mentre il Nizza non lo conosceva nessuno… Ci siamo confrontati a lungo sul tema, finché cinque anni fa, tramite il Consorzio della Barbera d'Asti e dei Vini del Monferrato, abbiamo iniziato l’iter per avere un nostro disciplinare.
Perché non avete adottato quello già esistente della Barbera d’Asti?
Primo, perché il nostro disciplinare parla di 100% Barbera, che era una norma interna dell’associazione Produttori del Nizza fin dalla sua nascita. Secondo, perché volevamo inserire la dicitura Riserva, che ci avrebbe aiutato a comunicare la longevità, che è una delle sue caratteristiche principali. E poi, già che c’eravamo, perché volevamo inserire, per la prima volta in Italia, il divieto di aggiungere mosto d’uva e mosto concentrato. Noi vogliamo fare il Nizza solo con le nostre uve e, siccome la Barbera è un vitigno che accumula molti zuccheri, non ci interessa produrlo nelle annate in cui la maturazione non raggiunge un livello sufficiente per ottenere un equilibrio naturale tra acidità e struttura.
Ora, a soli dieci anni dal quella dichiarazione, il 1 luglio 2016 ci sarà la prima uscita sul mercato. È un passo importante…
Sì. Ed è solo l’inizio. Nella zona di Nizza ora puoi produrre Barbera d’Asti, Barbera d’Asti Superiore e Nizza – oltre a Piemonte Barbera e Barbera Monferrato. Con il 1 luglio ci saranno in commercio due tipologie di vino: il Nizza Riserva e il Nizza. Il primo è riservato ai vini che affinano come minimo 30 mesi, di cui 12 mesi in legno. I Nizza attualmente in commercio escono sul mercato, in media, dopo 30- 36 mesi, quindi sarà prevedibile che l'attuale produzione di Nizza si possa fregiare dell'indicazione Nizza Riserva soprattutto nelle annate migliori. In seno all'Associazione Produttori del Nizza abbiamo deciso di investire sulla realizzazione di un Nizza che, da una parte, possa essere lo scalino di ingresso verso la Riserva, dall'altra, possa assorbire gran parte dell'attuale produzione di Barbera d'Asti Superiore di qualità.
In che senso?
Nel senso che a me personalmente, come produttore, piacerebbe che in futuro qui si potessero fare solo Nizza e Nizza Riserva per le Barbera affinate in legno, e Barbera d’Asti per le Barbera più fruttate e immediate, non affinate in legno. Questa chiarezza aiuterebbe enormemente il consumatore a capire i vini, la Barbera e le caratteristiche del territorio e di ogni singola vigna.
Qual è l’obiettivo primario in questo momento?
Arrivare a un milione di bottiglie, che è il "minimo sindacale" per avere una certa visibilità mondiale. Poi, secondo me, se la cosa funziona, l’obiettivo dovrebbe diventare quello di produrre almeno 5 milioni di bottiglie. Se nel 2014 gli ettolitri sono stati 3900, nel 2015 sono saliti a 5700, che equivalgono a 750mila bottiglie di Nizza potenziale nelle nostre cantine. A breve andrà in stampa la nuova mappa del Nizza, dove sono state mappate tutte le vigne di Barbera che hanno le caratteristiche necessarie per essere iscritte all'albo vigneti del Nizza, cioè l’esposizione a sud, sudest e sudovest: in totale sono circa 750 ettari, che corrispondono a 5 milioni di bottiglie potenziali provenienti da vigneti già impiantati. Faccio una precisazione: ci sono tante esposizioni a sud, dove nel corso degli anni sono stati piantati altri vitigni, come Dolcetto, Brachetto o Moscato, per cui molto probabilmente, in futuro, si potrà arrivare a 1200 ettari.
Pensi che in futuro potreste anche decidere di cambiare il disciplinare, aprendo ad altre esposizioni?
Credo di si. È molto probabile che in futuro si possano far rientrare nel disciplinare le esposizioni a ovest e a est, perché andando verso annate sempre più calde, è giusto poter disporre di esposizioni più fresche ed equilibrate. Noi, la limitazione, l’abbiamo prevista non per distinguerci, ma perché allora tutti i produttori facevano le grandi Barbera solo con quelle esposizioni.
Che cosa offre di diverso un Nizza rispetto a una Barbera d’Asti Superiore?
La Barbera d’Asti Superiore fornisce l’indicazione di un vino molto meno omogeneo, perché viene prodotto in 169 comuni, a cavallo di due province, in territori, terreni e climi completamente diversi. Invece il Nizza ha una maggiore omogeneità, per cui sicuramente fornisce un vino più riconoscibile, con un fil rouge molto più forte tra le varie etichette.
C’è, a tuo avviso, qualche punto di criticità su cui impegnarsi maggiormente all’interno dell’Associazione?
Direi che la difficoltà maggiore consisterà nel riuscire a produrre di più, continuando a seguire una linea comune sempre verso l'alta qualità e posizionando il vino in una fascia di mercato appropriata e remunerativa. Il prossimo passo importante sarà quello di riuscire a comunicare il Nizza anche al consumatore finale, perché nel 2016 i grandi importatori, i buyers e i giornalisti internazionali sanno già della sua esistenza. Mi piacerebbe che l’Associazione facesse un bel progetto di comunicazione diretto al consumatore, perché è lì che si giocherà la sfida del futuro. Purtroppo nella comunicazione siamo ancora molto indietro in Italia. Molte aziende pensano ancora che sia solo una moda, tanto per dire che fai qualcosa di nuovo, e non che sia veramente utile per valorizzare ciò che fai. Adesso sui social sto portando avanti una battaglia: mi piacerebbe che con la FIVI si tracciasse un solco profondo tra i vini prodotti dai vignaioli, anche con 100 ettari, e certi "vini" imbottigliati da industriali che escono sulla scaffale del supermercato a 1,49 euro. Perché, se vai in giro per l’Italia, il consumatore medio ancora ti dice: ah sì, la Barbera, quella che costa poco…
Che cosa si dovrebbe fare, secondo te, per comunicare meglio la Barbera?
A me piacerebbe organizzare un evento innovativo, sulla falsa riga di quello che ho allestito qualche anno fa (barbera2.it). Ancora oggi, se hai bisogno di notizie sulla Barbera e vai sul web, non ne trovi, a meno che tu non digiti delle riviste specializzate - e ciò è molto grave. Per questo motivo nella comunicazione non mi interessa tanto parlare di Nizza o di Barbera d’Asti da soli. Al contrario, credo che sia molto più importante creare nel mondo un’isola Barbera, così come c’è l’isola Merlot, l’isola Cabernet e l’isola Chardonnay. Perché, che ci piaccia o meno, la più grande produzione nel mondo è impostata sui vitigni. Se vogliamo comunicare un vino, dobbiamo aggregare il maggior numero di persone possibile attorno alla parola Barbera, perché ci sono 30mila ettari piantati in Italia e 33mila nel mondo. La stanno piantando dappertutto: Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, California, persino a Brooklyn…
Non è una contraddizione rispetto al discorso del Nizza? Che senso ha comunicare il vitigno quando si è fatto di tutto per toglierlo dall’etichetta?
La domanda è lecita, in effetti sembrerebbe esserci una contraddizione, ma non è così e te lo dimostro. Come sai, io sono contrario a una produzione nel mondo impostata sui vitigni, però se vogliamo parlare al consumatore, la parola Barbera è molto più aggregante che non “Barbera d’Asti” o “Nizza”, perché le bottiglie che produciamo sono ancora troppo poche. Bisognerebbe far diventare “Barbera” un modo di vivere. Ovviamente noi del Nizza dobbiamo continuare a portare avanti il nostro discorso, ma se dovessi organizzare un evento davvero innovativo per creare interesse attorno al Nizza, io non comunicherei mai solo il Nizza, perché è una realtà troppo piccola. Mi adopererei inizialmente per far conoscere al mondo la Barbera come parola aggregante. Poi è chiaro che, se sei la culla della Barbera e se sei bravo, sarai sempre in prima posizione, però per suscitare maggiore interesse in tutti i consumatori del mondo sarebbe bellissimo se la zona di produzione mondiale della Barbera iniziasse a parlare di Barbera in generale. Prima devi creare interesse nel consumatore attorno alla Barbera, che è un vino che lui trova un po’ dappertutto nel mondo (perché, se va a cercare solo Barbera d’Asti o Nizza, deve fare una fatica immane) e poi, dopo che gli hai spiegato che cos’è una Barbera, allora sì che gli parli di Nizza e di Barbera d’Asti – ma solo dopo, in seconda battuta, perché è difficile ragionare al contrario.
Qual è il futuro della Barbera?
Luminoso, spero, perché è stato il nostro passato, e perché è stato il vitigno con cui la nostra ruralità è sopravvissuta alla fame. Qui non possiamo pensare diversamente. Dobbiamo solo pensare a valorizzarla e a renderla redditizia, in modo che il viticoltore torni a piantare Barbera nei suoi areali d’elezione. La zona del Nizza resiste, ma in altre zone purtroppo c'è stato un progressivo abbandono dei vigneti, e questo non mi piace. Vorrei che il successo del Nizza fungesse da traino per i territori limitrofi in modo che si torni a credere nella Barbera. Il futuro è luminoso anche per le caratteristiche proprie del vino, che sono struttura ed eleganza, sposate con la giusta freschezza, che ne fanno un vino molto drinkable anche quando ha più di 15% volumi di alcool. Non lo vedo così difficile il futuro della Barbera se, in comunicazione, si sfruttano le sue peculiarità che la contraddistinguono da tutti gli altri vini rossi del mondo. Per il resto, ci vogliono solo più innovazione e un po' più di coraggio. Dobbiamo osare di più. Un'altra cosa che manca qui è la formazione: le persone che amministrano i territori, coloro che amministrano il comparto e gli opinion leader nella nostra zona dovrebbero mettere più curiosità in quello che fanno, perché bisogna conoscere maggiormente le realtà esistenti nel mondo e, nel caso, copiare dai più bravi.
[1] Tullio Mussa, ex bancario, personaggio di riferimento per la zona, ha creato la Bottega del Vino, ha aggregato attorno a sé tutti i giovani produttori di Barbera. Come racconta lo stesso Morino: “Ogni anno teneva il conto di quanti Tre Bicchieri erano andati alle Barbere d’Alba e quanti alle Barbere d’Asti. L’anno in cui si capovolse la situazione, con 6 Tre Bicchieri alle Barbere d’Asti e solo 2 alle Barbere d’Alba, organizzò una festa con tanto di fuochi artificiali. Purtroppo è mancato troppo presto.”