Ricordi di una giornata romana: Champagne Bio 2015
/Buon Anno a tutti!
Mi sono a lungo interrogata su quale dovesse essere il tema del primo post del 2017. Poi, dopo così tanta Barbera, ho pensato che per celebrare l'arrivo del nuovo anno con un inno alla vita non c'è niente di meglio di una coppa di Champagne. Meglio se indimenticabile. Così mi è tornata subito alla mente una degustazione che ha segnato una giornata importante della mia vita. Roma in una giornata di sole di fine ottobre. Il primo incontro con l'editore. La consapevolezza che a breve "La Barbera è femmina!" avrebbe avuto una vita propria al di fuori del mio computer.
Buona lettura.
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25 ottobre 2015. Ore dodici. Mentre aspetto in fila il mio turno per prendere il bicchiere da degustazione, mi guardo attorno – inevitabile farlo in queste occasioni– e noto che, per la prima volta in tanti anni di frequentazioni enoiche, non conosco assolutamente nessuno. Qua e là qualche volto già visto sul web, ma nessuno a cui io riesca a dare un nome. A dire il vero, fatte le debite eccezioni, non conosco nemmeno la maggior parte delle cantine presenti, ma il mio amico Gae è stato categorico: questa sarà una delle migliori manifestazioni dedicate al vino a cui mi capiterà di partecipare nel corso della vita.
Pochi minuti più tardi, forte del mio carnet di degustazione, mi dirigo con passo sicuro su per le scale e mi ritrovo in un ambiente tutto vetri, già invaso di gente che si accalca davanti ai numerosi banchi d'assaggio. Faccio un giro di perlustrazione per capire come muovermi: sono sedici aziende in tutto, con un minimo di due a un massimo di cinque vini ciascuna. Cinquantaquattro champagne in tutto. Visto che non conosco nessuno, non mi resta che essere professionale e tentare di assaggiarli tutti. Ne ho tutto il tempo. Ho dei tacchi che non uccidono. Le sputacchiere ci sono. E ho con me la mia Pilot V5. Che altro mi serve?
Decido di lasciarmi guidare dall’istinto e di iniziare da Jacques Beaufort, Ambonnay. Il libretto che tengo in mano dice che i loro vini sono riconoscibili per gli “aromi di zenzero, salvia e morbidezze fruttate”. Interessante.
Al banco una simpatica coppia, che definirei agée, mesce quattro champagne, tutti millesimati e tutti 80% Pinot noir e 20% Chardonnay: Polisy 2009 (ricco, tondo, cremoso quanto una crema pasticcera), Ambonnay 2009 (più verticale e puntuto del precedente, fresco, nitido, con una nota fruttata piacevolissima), Ambonnay 2003 (naso complesso, nocciola, menta fresca, agrume, mentre in bocca una maggiore dolcezza rispetto ai precedenti, fresco, quasi salato). In ultimo, Polisy 1996 Demi-sec, un tripudio di albicocca, fico d’India e mango, dotato di una dolcezza invitante e per nulla stucchevole.
La signora mi sorride con l'aria di una nonna che mi ha appena messo tra le mani una tazza di cioccolata calda. E io annuisco riconoscente: sì, è un vino davvero confortante e dannatamente buono. Davvero un buon inizio.
Fleury Pére & Fils, Aube. Una coppia molto più giovane mi accoglie con un grande entusiasmo. Sono tutti così sorridenti e cortesi questi francesi... Qui gli champagne sono cinque, di cui tre 100% Pinot noir. Vini eleganti, privi di fronzoli, con un’anima minimal che, nelle strutture, guarda più alla sostanza che all’ornamento: un Blanc de Noirs Brut molto classico, un Brut Nature (Fleur d’Europe) delicato, leggermente floreale, e con un delizioso retrogusto di nocciola tostata, un Extra-Brut sans soufre ajouté (Sonate N°9 Opus 10) che sfida il tempo con il suo elegantissimo nitore, e infine un Extra Brut (Boléro 2005) di cui mi mostrano fieramente la tappatura insolita – uno Champagne maturo, secchissimo in bocca, e molto più ricco.
Anche se i vini di Fleury hanno una personalità molto ben definita, forse trovo quelli di Beaufort più nelle mie corde, per la grande sicurezza stilistica e la ricca tessitura. Ma l'incontro successivo è un'altra storia. Lì è amore a prima vista...
Mentre sfoglio il carnet nella speranza di vedere il nome di un vino che mi attiri a sé come una calamita, il mio sguardo viene catturato da un uomo imponente che gesticola vistosamente mentre spiega con grande convinzione i suoi vini e il suo terroir a un piccolo capannello che si è formato attorno a lui. Mi avvicino per leggere il cartello: George Laval. Sul banco solo due vini in degustazione, entrambi Brut Nature.
L’uomo si accorge di me e, senza smettere di parlare, mi sorride con gli occhi, facendomi un cenno perché io avvicini il bicchiere. Mentre lui versa, io inclino la testa per leggere l’etichetta: Cumières, come il luogo in cui crescono le sue viti, 50% Chardonnay, 35% Pinot noir e 15% Pinot meunier. Non ho ancora assaggiato i suoi vini, ma già sento di voler diventare amica di quest’uomo. La sua energia è contagiosa. Il suo vino non può essere insignificante. Impossibile.
Accosto il naso e le labbra. Ed è amore al primo sorso. È un vino intimista che parla sottovoce, e ti richiama a sé con prepotenza sommessa e sommersa, finché non ti consegni prigioniero. Fresco, sapido, incredibilmente intrigante. Per quanto mi impegni, non riesco a sputarlo. L’uomo, che io mentalmente ormai chiamo George, osserva divertito la mia resa incondizionata mentre deglutisco come ipnotizzata l’ultimo microlitro del Cumières, e solo allora mi versa nel bicchiere il secondo vino. Rosé Cumières Brut Nature: un vino strepitoso, una spremuta di ribes rosso, e visciole, con una nota gradevolmente amarognola che, come un finale inaspettato, ricompone felicemente un equilibrio per il quale ero rimasta con il fiato sospeso. È una specie di miracolo.
“George…” sussurro ispirata, rimpiangendo per la prima volta in vita mia di non parlare francese.
L’uomo scuote la testa e mi corregge: Vincent...
George, Vincent, non importa.
I’ve just fallen in love with your wines.
Vincent scoppia in una fragorosa risata e poi dice qualcosa di incomprensibile, il cui senso però è chiaro: apprezza il mio entusiasmo e si prende l’applauso più che meritato.
Sulla stessa pagina dove campeggiano i vini di Laval leggo: “David Léclapart è un uomo che non accetta compromessi…”. Decido quindi di andare a cercarlo. Devo pur mettere in qualche modo a tacere la mia recente infatuazione, e chissà che i vini di un uomo che non accetta compromessi possano venirmi in aiuto… Sono curiosa di scoprire di che cosa è capace.
In degustazione ci sono due vini, ma al banco David non c’è. L’addetto, preso da un moto di stanchezza, mi versa per errore lo champagne più importante. L’Apôtre 2009 (100% Chardonnay) è un vino estremamente interessante che per un istante mi fa dimenticare le mie pene d’amor perduto: accosto al naso il bicchiere e subito avverto la mandorla, e una nota floreale esotica.
Chissà perché sul mio taccuino, anziché "esotica", scrivo "erotica". Rido tra me e me del lapsus, ma in effetti L’Apôtre è anche un vino erotico, caldo, sapido, appagante, con una sua sensualità da fiore tropicale, un mazzo di frangipane, al posto del quale all’improvviso subentra la freschezza di un mazzo di erbe aromatiche appena tagliate. L'Apostolo. Il Predicatore. Chissà perché avranno dato un nome così serioso e castigato a un vino così sensuale… mi chiedo mentre sorseggio l’ultimo microlitro nel bicchiere – perché anche questo - ahimè! - è un vero peccato sputarlo. Quando l’Artiste 2010 (anch’esso Chardonnay in purezza) mi viene versato nel bicchiere, è chiaro che si tratta di un vino molto più spumeggiante e frivolo, più sapido del precedente, e pure più fresco, addomesticato da un’anima di nocciola tostata, che lo àncora a terra, impedendogli di prendere il volo, e che è comunque un bel bere.
Robert Barbichon & Fils, Vincent Couche, Pascal Douquet, Leclerc-Briant, Lelarge-Pugeot, Thomas Perseval, Val Frison. Sono al mio trentaquattresimo champagne. Ormai non ne rimangono molti da assaggiare.
Franck Pascal. La loro è l’unica pagina bianca del carnet di degustazione. Sono curiosa. Al banco trovo una bella signora, che prontamente mi introduce al magico mondo della loro cantina, sciorinando nomi meravigliosi che al mio orecchio, più che dei vini, evocano delle tisane ayurvediche piene di spezie e promesse: Reliance, Quintessence, Pacifiance e Sérénité. A dispetto del nome, però, sono vini molto seri e ben fatti.
Reliance Brut Natur (100% Pinot meunier) è un vino ricco, morbido, molto classico al naso (crosta di pane e nocciole) con un finale sapido e tostato; Quintessence 2004 (60% pn, 25% pm, 15% ch) odora di pan brioche, sapido e fresco in bocca, meno ricco del precedente, ma più sfaccettato; Pacifiance Brut Natur al naso è delicato e floreale, mentre in bocca è deciso, nitido, sapido e fresco; infine Sérénité 2010 Brut Natur (45% ch, 55% pm), un misto di nocciole tostate e fiori al naso che ti sorprende con un’esplosione di gusto al palato.
Sono vini meravigliosamente barocchi, che trasudano ricchezza delle vesti, ori, pizzi e trine. Mi piace la loro attitudine: luce e sostanza.
La signora mi sorride compiaciuta e, con un sussurro, aggiunge che quest’ultimo è un vino "très spirituel". Sorrido. Chissà che cosa intende con questo. Forse che, come una tisana ayurvedica, conferisce a chi lo beve serenità interiore e benessere. Provare per credere.
Vouette & Sorbée, Buxière-sur-Arce. Ultimo assaggio. Ho aspettato con grande pazienza che Bertrand Guatherot tornasse al suo banco d’assaggio, rimasto a lungo deserto, ma alla fine l’attesa non è stata vana. Sono proprio lì, di fianco a lui, con quegli occhi sinceri, intelligenti e perennemente dubbiosi. Estrae da sotto il banco le bottiglie, come se si trattasse di libelli politici clandestini e assolutamente vietati, e versa i suoi vini con un gesto carbonaro: il Blanc d’argille 2012 (100% Chardonnay), nervoso, brillante, ricco, sapido, indimenticabile; e il Saignée de Sorbée (100% Pinot noir), intriso di mela cotogna e chinotto, assolutamente meraviglioso. Infine, guardandosi attorno con fare circospetto, estrae un’ultima bottiglia priva di etichetta e me ne versa un goccio nel bicchiere.
“Cos’è?” gli chiedo curiosa, ma Bertrand scuote la testa come a dire che non può parlare, e bofonchia l’annata: 2005. So che non riuscirò a fargli dire altro. Mi osserva severo, come a dire: che fai, non lo assaggi? Vuole un parere. Accosto le narici a quel nettare meraviglioso, denso di profumi e sostanza. Lo guardo riconoscente, restando in religioso silenzio, e lui ricambia con uno sguardo di intesa. Sono rimasta senza parole: il vino misterioso che ho nel bicchiere è più vicino a un passito che a uno champagne.
Forse il vino di Bertrand ne è l’anello mancante. Ne ho giusto una lacrima nel bicchiere, ma è potente quanto una pozione magica che dona la felicità: Liquid Luck.
Oggi tutto è possibile. Mentre lo rigiro nella bocca sento che oggi sarà una giornata perfetta.
Un giovanotto giunto alle mie spalle chissà quando, notando la mia espressione estasiata, gli chiede se può averne un po’.
Ma Bertrand è irremovibile: no, non si può.
Perché? Perché no. Punto.
Fisso la lacrima di Liquid Luck che ho ancora nel bicchiere e penso che per oggi posso ritenermi soddisfatta. Magari ha ragione Bertrand a non dargliene nemmeno una goccia. Magari non è in grado di capire. Magari è uno stronzo insensibile. Ma è più forte di me: gliela verso nel bicchiere, paga di una felicità che non può andare oltre, e mi dirigo verso l’esterno.
Fuori c'è un bel sole, e il cielo azzurro. Fuori c'è Roma. E un appuntamento al Ghetto per pranzo.
Note a margine.
1. Per coloro che tra di voi, infastiditi, si staranno chiedendo: e che diavolo ci sarebbe da festeggiare? Ma è chiaro! Che siamo ancora vivi!
2. Per i degustatori più esigenti. Unico rammarico (a posteriori) di una giornata perfetta: aver mancato per poco (tra gli undici champagne non degustati perché c'è un limite a tutto...) la Cuvée Rebelle di Bruno Michel (la quale mi stava fortunatamente aspettando da Campanini, a Busseto, un mese più tardi...).